Mani robotiche in aiuto ai tetraplegici

La mano si può considerare come un vero e proprio organo che presiede innumerevoli funzioni: non è indispensabile solo per scrivere, afferrare e per realizzare più in generale, tutti i movimenti di motricità fine, ma senza non sarebbero possibili gesti come le carezze, ecco perché la mano viene definita come un vero e proprio organo di informazione, all’interno del quale convivono la funzione motoria e sensitiva. Perdere l’uso totale o parziale delle mani ha un impatto devastante per chiunque perché significa perdere di autonomia, ma anche privarsi di un importante organo sensoriale. Nel campo della robotica, tuttavia, sono stati compiuti dei grandissimi progressi volti a restituire in qualche modo, l’utilizzo delle mani a chi l’ha perduto.
Per quanto riguarda la possibilità di restituire, almeno in parte, la funzionalità delle mani a chi l’ha persa a causa di un’amputazione sono disponibili delle protesi ovvero delle vere e proprie mani robotiche, come ci spiega Antonio Bicchi, professore ordinario al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa: “I modelli di protesi più diffusi in questo momento sono molto semplici ed essenziali, capaci di pochi movimenti, ma funzionali alle esigenze dei pazienti, che trovano più facile apprenderne l’uso. Questa scelta è stata imposta dalla grande complessità della mano umana: replicarne tutte le funzioni non è possibile, per motivi strettamente tecnici, ma anche perché il prodotto finale sarebbe di difficile utilizzazione da parte del paziente. E’ necessario un cambio di paradigma per costruire una protesi di mano che sia contemporaneamente semplice da usare, robusta e in grado di afferrare e manipolare quasi tutti gli oggetti di uso comune. E’ quello che abbiamo cercato di fare progettando la mano robotica SoftHand, realizzata nel Centro di Ricerca ‘E. Piaggio’ dell’Università di Pisa e dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che parte da un’analisi e dalla comprensione dei meccanismi neuromuscolari che sottendono il movimento della mano umana, per poterli poi replicare in un arto artificiale”.
Le componenti innovative della SoftHand si riassumono infatti nella struttura e nel principio di funzionamento che si ispirano a quelli di una mano umana, combinando in modo efficace robustezza e flessibilità. La struttura è in materiale plastico ed è stata ottenuta attraverso tecnologie di costruzione additive, cioè tramite una stampa 3D. Le falangi rotolano l’una sull’altra come le articolazioni del corpo umano. Non ha vincoli rigidi tra le dita, ma legamenti che le conferiscono elasticità. E non ha ruote dentate, ma tendini. Tendini e legamenti sono collegati e controllati da un unico motore, cosa che la rende adatta a un semplice utilizzo come protesi senza richiedere lunghi tempi di apprendimento. La mano è in grado di alternare prese delicate e forti, per adattarsi agli oggetti di natura più varia. Quando prendiamo una fragola o un sasso, infatti, compiamo azioni simili ma diverse nella forza della presa. La SoftHand è in grado di distinguere e di eseguire entrambi i movimenti: prese energiche per oggetti pesanti, oppure prese lievi per quelli più delicati.
“In collaborazione con il Rehabilitation Institute of Chicago _ aggiunge Bicchi _ stiamo inoltre mettendo a punto tecniche che permetteranno nonostante le protesi, ai pazienti di avere un maggior gioco di polso. In pratica i nervi che corrono verso la mano amputata vengono reinnervati e riportati a zone precedenti il moncone e ricollegati ai fasci muscolari, in modo che possano inviare impulsi alla protesi. Tutto questo permette non più di svolgere un solo movimento per volta, ma consente una maggiore mobilità del polso e, quindi, in definitiva, una migliore capacità di manipolazione, come quella che permette, ad esempio, di tenere una penna fra le dita”. 
La SoftHand ha ottenuto divesi premi e riconoscimenti dalla comunità scientifica internazionale, e ha partecipato a diverse competizioni, tra cui il Cybathlon, le prime olimpiadi “bioniche”, e la Robotic grasping and Manipulation Competition che si è svolta in Corea lo scorso ottobre, nell’ambito della Conferenza IROS (International Conference of INtelligent Robots and System). Proprio in quest’ultima competizione, la mano si è aggiudicata il primo premio, con il massimo punteggio. 
Nel campo delle protesi e degli esoscheletri, dunque, gli esempi di eccellenza non mancano. Per persone affette da traumi spinali o ictus, per esempio, è possibile recuperare, almeno in parte, la capacità prensile delle mani quando persa, anche attraverso l’utilizzo di esoscheletri robotici indossabili e controllati tramite un’interfaccia non invasiva con il sistema nervoso, avvalendosi, per esempio, di elettrodi posizionati sulla testa e i lati degli occhi, il tutto coordinato da una connessione wireless.