“Mi sono vaccinato”, lettera ai no-vax

Riceviamo e pubblichiamo
Eccomi qui, finalmente. Ho con me una cartellina con tutta la documentazione necessaria e la conferma della prenotazione per poter fare il vaccino anti-Covid. Diligentemente in fila e con la mascherina addosso, siamo distanziati quasi due metri l’uno dall’altro. Ad uno ad uno, i vaccinandi sono accolti dal servizio d’ordine della Protezione civile, e all’entrata del capannone messo a disposizione dall’ente Fiera della città, da una infermiera della Croce Rossa che raccoglie la mia prenotazione. Percorro un breve corridoio, un medico controlla la scheda anamnestica che ho compilato, mi dice che tipo di vaccino devo fare. Proseguo lungo il percorso all’interno del capannone e mi fanno accomodare su una sedia di fronte agli ambulatori, sempre a debita distanza dagli altri. Mi chiamano. Entro nel micro ambulatorio dove trovo un altro medico, giovanissimo, che mi fa qualche domanda mentre controlla il tutto. Dopo un paio di minuti di preamboli seguo l’infermiera nel piccolo spazio adiacente. Scopro il braccio. Non sono agitato. Perché sono una persona perfettamente informata su quello che sto per fare, perché mi sono preso la briga di andarmi a leggere qualche pubblicazione scientifica seria. Inoltre ho chiesto il parere di un mio caro amico, virologo e biologo. Mi ha spiegato per bene in cosa consistono i vaccini, quali sono le differenze tra tutti quelli disponibili, come si ottengono e con quale tecnologia si realizzano, come immunizzano. Informazioni, in ogni caso, alla portata di tutti. Penso a tutte le polemiche di questi mesi, dei casi di trombosi post-vaccino, degli interventi dei governi e degli enti regolatori in proposito. Penso a quanta disinformazione, a quanti titoli urlati sui giornali, a quante trasmissioni tv sull’argomento, dove lo spettatore non riesce a trovare pace perché i pareri sono talvolta discordanti. Tutto questo si poteva e si può evitare. Non fa bene al cittadino che poi va in confusione, e la confusione genera allarmismo. E’ un problema di comunicazione. Peccato, perché l’unico rimedio sembra proprio essere il vaccino anti-Covid, e non possiamo, data la situazione, rischiare una catastrofe sanitaria ed economica, non possiamo rimandare oltre. Ma soprattutto penso a mia mamma. E’ mancata qualche anno fa a causa di un ictus emorragico, in un’epoca che sembra così distante da quella che stiamo vivendo. Non c’era il Covid-19, ma morivano milioni di persone ogni anno per un ictus, un cancro o per una qualsiasi altra patologia. E con lei milioni di altre persone che se ne sono andate senza aver sentito mai parlare di Wuhan, di Covid-19, di pipistrelli, dell’Ema, dell’Aifa, dei morti di Bergamo, del primo paziente di Vò Euganeo, di mascherine, di guanti, di gel igienizzanti, di chiusure, di indici Rt, di fasce rosse, arancioni ecc.. Non oso pensare _ mi sono detto _ se mia mamma avesse avuto quell’ictus dopo aver fatto un vaccino. Di sicuro voi, sì proprio voi signori no-vax, avreste dato la colpa al vaccino. Ci sono decine di migliaia di persone che attualmente sono escluse dalle cure oncologiche o emergenziali a causa dei posti letto occupati dai malati di Covid e delle risorse umane limitate. Mi chiedo con che coraggio continuate a dire che il vaccino fa morti quando di morti ce ne sono ancora più di 200 al giorno solo di Covid, solo in Italia. E tutti gli altri pazienti non-Covid? Mi chiedo se avete mai seguito l’iter terapico di una persona malata di cancro. Mi chiedo se vi rendete conto che anche un mese di ritardo sulle cure significa condannare a morte queste persone. Perché in questi casi la tempestività della diagnosi è tutto. Il rischio è che ai morti per la pandemia da Covid si aggiungano tutti quelli che non trovano un posto in terapia intensiva dopo un infarto cardiaco, o che si ritrovano con le cure oncologiche sospese o rinviate. E tutto perché? Perché voi ritardate il ritorno alla normalità con motivazioni ridicole, un misto di negazionismo e complottismo con sentori di politica becera. Dicono che il male del secolo scorso fosse il cancro. Quello di questo secolo è l’imbecillità. Ma non un’imbecillità innocua, bensì deleteria, avvelenata, sconsiderata, a volte violenta. A tutto danno della collettività. Avrei voluto vedervi, signori no-vax, fino a poco più di 50 anni fa quando si moriva di vaiolo. Qui da noi. In altre parti del mondo, ancora oggi, si continua a morire per malattie (ad esempio il morbillo) che nei Paesi più sviluppati sono state definitivamente bloccate. Grazie ai vaccini. Voi, signori no-vax, date tutto per scontato perché non vi rendete conto che vivete avvolti dal benessere e dalla protezione delle cure che la comunità scientifica è stata in grado di offrirvi, a cavallo degli ultimi due secoli, attraverso studi approfonditi ed empirici, assieme a un sistema sanitario (con tutti i suoi difetti, certo) tutto sommato efficace e gratuito. Intanto, grazie al vaccino, gli ospedali stanno lentamente tornando alla normalità. Un sollievo per chi ha patologie gravi diverse dal Covid-19 e non ha tempo da perdere in chiacchiere, né ha voglia di riempirsi la testa con la diffusione di certe idee che mortificano l’operato di tanti bravi ricercatori, medici e infermieri di tutto il mondo. Credo che pochi di voi, signori no-vax, sceglierebbero di non sottoporsi alle cure oncologiche dopo essersi ammalati di cancro. Sapete cosa significa assumere farmaci chemioterapici? Sapete quali sono gli effetti collaterali e i rischi di una cura anticancro? Ve lo dico io: infinitamente maggiori di un qualsiasi vaccino. Imparagonabili. Eppure, attualmente, è l’unica cura efficace contro questo male. A proposito, prima o poi un “vaccino” preventivo o curativo anti-cancro lo troveranno, sono già sulla buona strada avendo approntato cure sempre più mirate e meno invasive. A quel punto, signori no-vax, scegliereste di non farlo? Ben inteso, ognuno è libero di disporre della propria vita come meglio crede. Siete liberi di non vaccinarvi. Liberi pure di mettere a repentaglio il vostro posto di lavoro. Liberi, se pensate che la medicina ufficiale sia nociva per la salute e serva solo a riempire le tasche delle aziende farmaceutiche, di rivolgervi pure ai maghi in tv. Ma, signori no-vax, non siete liberi di poter contagiare gli altri o di contribuire a limitare le cure a tutti gli altri pazienti fragili e non-Covid a causa della vostra “resistenza”. E qui mi rivolgo anche a quei medici e operatori sanitari che hanno deciso di non vaccinarsi. A voi, signori professionisti della medicina, porrei una questione morale, ma non solo. Vi chiederei un minimo di rispetto nei confronti di tutti quei vostri colleghi che sono morti prendendosi cura dei tanti malati di Covid nei primi mesi della pandemia, quando ancora eravamo impreparati per mancanza di ausili di protezione, di cure e di vaccini. A voi dico: cambiate mestiere, perché tradite gli uomini, la scienza e il vostro giuramento.
Mi consola il fatto, cari no-vax, che siete una piccola minoranza. La scienza, con voi o senza di voi, andrà comunque avanti. E io, nel mio piccolo, sono felice di dare il mio contributo affinché questo avvenga.
“Fatto” mi dice l’infermiera, gentilissima e giovanissima. Non mi sono nemmeno accorto dell’iniezione mentre pensavo a tutte quelle cose che ho scritto sopra. Ringrazio e ritorno dal medico che nel frattempo ha stampato i moduli che dovrò compilare per la seconda dose, fra meno di due mesi. Mi spediscono in un’altra area del capannone dove dovrò aspettare 15 minuti prima di potermene andare. Nell’attesa, leggo le ultime notizie sul telefonino. Troppi morti di Covid anche ieri. No, l’emergenza sanitaria _ e mentale _ non è affatto finita. Esco dal capannone e mi dirigo verso la mia auto parcheggiata poco distante. Respiro l’aria tiepida primaverile. Sento di aver fatto la cosa giusta, per me e per gli altri.
Lettera firmata