Il cervello ha bisogno di silenzio

Rumore e silenzio, croce e delizia delle orecchie, ma anche del cervello. E se quasi tutti cercano di sfuggire i rumori molesti, più articolato è il rapporto con il silenzio, che mette a confronto con se stessi e con gli altri, e forse per questo è talora temuto e rifuggito. Ma il silenzio svolge anche un importante ruolo di modulazione sul cervello, alterandone il funzionamento e la struttura, a causa della cosiddetta plasticità cerebrale, la capacità del cervello di modificarsi e adattarsi in relazione a richieste funzionali provenienti dall’ambiente interno ed esterno. A tal fine sono state molto studiate le tecniche di rilassamento, tra cui la meditazione, che può essere considerata una forma strutturata di silenzio.
“Vari studi hanno dimostrato che la meditazione può produrre cambiamenti anche duraturi nell’architettura cerebrale, soprattutto se ripetuta regolarmente e per lunghi periodi di tempo” dice Filippo Carducci, responsabile del Laboratorio di neuroimmagini del Dipartimento di fisiologia e farmacologia dell’Università La Sapienza, di Roma, relatore al convegno sulla neurofisiologia del silenzio tenutosi dal 26 al 28 luglio nel Monastero di San Biagio a Nocera Umbra. Le «reti» antagoniste «Questi cambiamenti includono il potenziamento di attenzione, memoria di lavoro e creatività, una migliore gestione delle emozioni, un incremento del comportamento pro sociale. La pratica della meditazione migliora inoltre il senso generale di benessere, riduce i sintomi di ansia e depressione e migliora il funzionamento del sistema immunitario”. Studi realizzati con la risonanza magnetica, hanno evidenziato la meditazione che può modificare l’attività di due network cerebrali antagonisti: il Default Mode Network (Dmn) e il Task Positive Network (Tpn).