“Grande traguardo della ricerca medica italiana” impegnata nella lotta contro le malattie neurodegenerative. Lo annunciano gli scienziati dell’Istituto Auxologico italiano e dell’università degli Studi di Milano, autori di uno studio condotto all’interno di un’alleanza con diverse istituzioni americane e altri centri tricolori. I ricercatori descrivono il ruolo chiave di un biomarcatore che permette di monitorare le mutazioni genetiche alla base della sclerosi laterale amiotrofica, la Sla, e della demenza frontotemporale Ftd. La sostanza “spia” si trova nel liquido cefalo-rachidiano, il fluido che permea il sistema nervoso centrale. Ma potrebbe essere misurabile anche nel sangue e gli studiosi lo ritengono un marker “specifico, sensibile e utilizzabile per verificare l’efficacia di un futuro trattamento farmacologico”.
Il lavoro è finito sulla copertina dell’ultimo numero di “Science Translational Medicine”. La rivista dedica infatti la prima pagina al campione di baseball statunitense Lou Gehrig, il primo sportivo della storia ad avere fatto notizia perché stroncato dalla Sla il 2 giugno 1941, a soli 38 anni. Il suo dramma suscitò un tale scalpore che la patologia prese addirittura il suo nome: “Malattia di Lou Gehrig”, di cui allora si sapeva poco o nulla. Da quel giorno la ricerca ha fatto grandi progressi, ma la Sla resta incurabile.
In Italia ci convivono circa 6mila persone che potrebbero avere una speranza in più, perché a detta degli scienziati i nuovi risultati “preludono a un possibile approccio terapeutico per i pazienti portatori di mutazione nel gene C9orf72”. I test clinici su un nuovo approccio non sarebbero lontani. Al centro della ricerca c’è in particolare la proteina poliGP, che appartiene alla famiglia delle c9Ran, la cui produzione viene regolata dal gene C9orf72.
Sla e Ftd sono oggi considerate dagli esperti “un continuum biologico-clinico. E la causa più frequente delle forme sia sporadiche sia familiari delle 2 malattie, in Italia come all’estero _ precisano _ è rappresentata da una comune mutazione del gene C9orf72”. Insieme a colleghi Usa _ si ricorda in una nota _ l’Irccs Istituto Auxologico italiano di Milano (Dipartimento di fisiopatologia medico-chirurgica e dei trapianti e Centro Dino Ferrari dell’università degli Studi), con Vincenzo Silani, Antonia Ratti, Cinzia Tiloca, Claudia Morelli, Barbara Poletti e Federica Solca, in collaborazione con l’Unità operativa complessa di neurologia-Stroke Unit dell’ospedale Maggiore di Crema, diretta da Alessandro Prelle, ha largamente contribuito all’ulteriore caratterizzazione del biomarcatore liquorale protagonista della ricerca.
“L’ulteriore contributo dello studio _ riferisce Ratti, ricercatrice dell’ateneo meneghino _ è la dimostrazione che è possibile misurare le proteine poliGP anche in cellule mononucleate ottenute da sangue periferico e in linfoblasti immortalizzati da loro derivati, con il grosso vantaggio di poter quindi determinare il biomarcatore anche nel sangue con modalità meno invasiva”. La prova che questo biomarker ha un valore potenziale anche in campo terapeutico arriva da studi eseguiti in vitro e su topi transgenici: utilizzando oligonucleotidi antisenso specifici, ossia mini-sequenze genetiche costruite ad hoc, si è osservata “una riduzione significativa” dei livelli di poliGp. Sia nelle cellule ottenute da pazienti con malattie associate al gene C9orf72, sia nei tessuti cerebrali e nel liquido cefalo-rachidiano dei roditori “Ogm” modello di queste patologie.
La ricerca è stata possibile grazie al contributo del ministero della Salute e a un progetto della Comunità europea (Strength) “ma soprattutto _ tengono a dire i ricercatori _ grazie ai pazienti che hanno contribuito ad arricchire la banca biologica dell’Istituto Auxologico, elargendo spesso anche donazioni per la ricerca”.