Nucleare. Le pasticche di iodio non servono

Fare la corsa per acquistare integratori a base di iodio non serve. Anzi: può essere dannoso”. Gianluca Aimaretti, ordinario all’università del Piemonte Orientale e presidente eletto della Società Italiana di Endocrinologia, non usa giri di parole. E ribadisce quella che è la posizione di tutta la comunità scientifica italiana, a fronte della tendenza a fare scorte di compresse di iodio con cui scongiurare i rischi legati a un possibile attacco nucleare in Ucraina. La profilassi, in questo momento, non è necessaria. E semmai si verificasse un’evoluzione di questo tipo, non servirebbero gli integratori. Bensì dei farmaci, la cui distribuzione spetterebbe alla Protezione Civile e alle Regioni.
La corsa alle compresse di iodio
I timori legati a un possibile attacco russo nei confronti dei reattori sta determinando un rapido aumento delle vendite di compresse a base di iodio in diversi Paesi: a partire dal Belgio e dall’Olanda. Nazioni in cui, vista la presenza di centrali, ci sono una predisposizione culturale e un’organizzazione che portano già alla distribuzione gratuita di questi farmaci nelle aree più esposte al rischio nucleare. Ma sono state le stesse autorità belga a ricordare nelle scorse ore come le compresse di iodio non vadano assunte a scopo profilattico. E che l’attuale situazione in Ucraina non ne richiede l’uso. Quanto all’Italia, “in questo momento non si segnalano particolari carenze di integratori _ afferma Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma e presidente dell’Unione Europea dei Farmacisti (Pgeu). Sappiamo però che, con la circolazione di queste notizie, esiste il rischio di una corsa sconsiderata all’acquisto”. La differenza tra integratori e farmaci. Grazie all’uso del sale iodato, lo stato nutrizionale degli italiani è migliorato. E poi con una dieta varia ed equilibrata _ con un adeguato apporto di alimenti quali l’aglio, i fagioli, le bietole, le zucchine, le uova, il latte, i formaggi, i cereali e la carne _ non è necessario ricorrere alla supplementazione. A ciò occorre aggiungere la differenza tra gli integratori a base di iodio e i farmaci che hanno come principio attivo lo ioduro di potassio. I primi _ acquistabili in farmacia senza ricetta _ sono indicati soltanto nei casi documentati di carenza di iodio. A essere impiegati per la profilassi in caso di esposizione allo iodio radioattivo sono invece le compresse di ioduro di potassio. Queste vengono distribuite soltanto dietro prescrizione medica. E, in assenza di condizioni di rischio, non possono essere acquistate in farmacia. “In caso di incidente nucleare, esiste un piano per rifornire di questi farmaci i target della popolazione più a rischio: gli under 18, le donne incinte e in allattamento _ prosegue Aimaretti _. Si partirebbe da loro poiché si è visto che il rischio di sviluppare un tumore della tiroide a causa delle radiazioni cala sensibilmente dopo i 40 anni”. Se si verificasse un’eventualità di questo tipo, sarebbero dunque le istituzioni a caldeggiare la profilassi a partire dalle 6-8 ore successive l’incidente. Con i farmaci: in grado di apportare iodio in dosaggi superiori anche di 700-1.000 volte rispetto agli integratori. Da non trascurare infine i possibili effetti collaterali legati a una eccessiva assunzione immotivata di iodio: diarrea, eruzioni cutanee, dolori addominali, reazioni allergiche e alterazione della funzionalità della ghiandola (iper e ipotiroidismo).
La malattia acuta da radiazioni
Occorre aggiungere che un eventuale incidente nucleare sprigionerebbe nell’aria anche altre sostanze radioattive: come il cesio-137, lo stronzio-90, il polonio-210, l’uranio, il plutonio e il nettunio. A fronte di un simile scenario, a essere a rischio non sarebbe dunque soltanto la tiroide. Bensì l’intero organismo, per quella che la comunità scientifica definisce malattia acuta da radiazioni. I suoi effetti dipendono dalla quota di materiale radioattivo disperso, dalla distanza a cui un individuo si trova rispetto alla sorgente e dall’andamento della nube tossica che potrebbe colpire alcuni territori più di altri. Le conseguenze sono variabili. Inizialmente si possono riscontrare sintomi quali diarrea, nausea, vomito, anoressia ed eritemi. Ma è dopo una fase di apparente latenza che si manifestano le conseguenze più gravi, a carico di apparati vitali: da quello respiratorio al circolatorio, dal gastrointestinale al sistema emopoietico. Non esiste un trattamento che consenta di invertire gli effetti delle radiazioni. Tutt’al più si possono curare i sintomi derivanti dall’esposizione o le infezioni scaturite.
Fonte: AdnKronos