Melanoma, giù la recidiva con l’immunoterapia

Cosa succede quando un nuovo farmaco, testato a lungo su malati attentamente “selezionati” per partecipare alle sperimentazioni che hanno portato alla sua approvazione, viene poi effettivamente utilizzato nel mondo reale, ovvero su persone che spesso sono più anziane, fragili e “sofferenti” per via dei numerosi acciacchi concomitanti? Spesso capita che la nuova cura risulti un po’ più tossica, difficile da tollerare a pieno dosaggio, in una popolazione eterogenea e non selezionata rispetto a quella degli studi clinici. Per quanto riguarda i pazienti con un melanoma in fase avanzata, però, uno studio italiano dimostra che l’efficacia e la tollerabilità di un farmaco immunoterapico, Nivolumab, si mantengono invece inalterate.
Ridurre il rischio di recidiva e prevenire le metastasi
Gli esiti dell’indagine presentata al congresso convegno annuale della European Society for Medical Oncology (Esmo) riguardano 611 pazienti, con un melanoma in stadio III e IV resecato, cioè quando la malattia è stata completamente asportata, nei quali l’immunoterapia è stata utilizzata in fase precoce per ridurre il rischio di recidiva e prevenire le metastasi. “I risultati riguardano il programma di accesso allargato a Nivolumab che era stato attivato in Italia prima che questa strategia venisse poi approvata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (a dicembre 2019) _ spiega Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia, melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative all’Istituto Tumori Pascale di Napoli . I partecipanti erano stati arruolati tra novembre 2018 e giugno 2019 e presentavano caratteristiche diverse rispetto a quelli dello studio registrativo perché, per esempio, più fragili, anziani o con altre patologie concomitanti. È il più ampio programma al mondo sull’utilizzo dell’immunoterapia in fase precoce nella pratica clinica quotidiana e consolida il valore di Nivolumab: a due anni dalla terapia adiuvante (che ad oggi dura 12 mesi), la sopravvivenza libera da recidiva ha raggiunto il 58% dei pazienti e quella libera da metastasi a distanza il 70%». Nei pazienti con questo tumore in stadio IIIB o IIIC, non sottoposti a terapia adiuvante dopo la resezione chirurgica, il tasso di recidiva a 5 anni è invece elevato, pari al 71% e all’85%. Nel 2020, in Italia, sono state stimate quasi 14.900 nuove diagnosi di melanoma. I numeri parlano chiaro: una manciata di anni fa, nel 2011, solo un paziente su quattro con una melanoma avanzato era ancora vivo dopo un anno dalla diagnosi. Oggi il 65% supera i due anni. E la prospettiva a cui prepararsi d’ora in poi è che circa la metà delle persone a cui viene scoperto questo tipo di tumore della pelle già in fase metastatica saranno “cronicizzate”, ovvero convivranno molto a lungo con la malattia. Infatti in 10 anni, in Italia, le persone vive dopo la diagnosi di melanoma sono aumentate di quasi il 70%: erano 100.910 nel 2010, sono 169.900 nel 2020. “Oggi le molecole immunoterapiche rappresentano lo standard di cura del melanoma non solo in fase metastatica, ma anche nello stadio III e IV resecato sottolinea Ascierto . L’immunoterapia in adiuvante dura solo un anno, aumenta la possibilità di evitare la recidiva della malattia e, quindi, potenzialmente di guarire la persona”. Aumentare il numero dei pazienti che guariscono dal melanoma, anticipando il trattamento con l’immunoterapia nelle fasi molto precoci, è un obiettivo molto ambizioso, ma che appare realizzabile alla luce dei primi risultati dello studio di fase 3 KEYNOTE-716 illustrati durante il congresso: nei pazienti con melanoma in stadio II resecato (ovvero asportato) ad alto rischio di recidiva, il trattamento adiuvante con Pembrolizumab ha dimostrato una riduzione significativa del rischio di recidiva, pari al 35% . “Lo studio KEYNOTE-716 è il primo a dimostrare l’efficacia di un trattamento immunoterapico negli stadi molto precoci del melanoma dice l’esperto _. L’immunoterapia adiuvante, cioè successiva alla chirurgia, è un’opzione consolidata negli stadi III e IV resecati, ma la popolazione in stadio IIB e IIC merita particolare attenzione perché presenta, dopo resezione completa, un rischio di recidiva persino maggiore rispetto ai pazienti in stadio IIIA. Fino ad oggi per questi pazienti lo standard di cura è rappresentato dall’osservazione, ma Pembrolizumab, che è anche ben tollerato, migliora la sopravvivenza libera da recidiva e, quando sarà disponibile, potrà offrire a questi pazienti una nuova opportunità. Da non trascurare anche l’elevato profilo di tollerabilità”.