La situazione negli ospedali e dei pazienti non Covid

È un eterno ritorno quello dell’emergenza liste di attesa per i pazienti italiani. Da quando la pandemia è iniziata sono aumentati rinvii e disdette per i malati non Covid, mentre 1 paziente su 5 è costretto a rinunciare alle cure per motivi economici. A dirlo sono i dati dell’ultimo rapporto sulla cronicità di Cittadinanzattiva dedicato, in maniera emblematica, alla “cura che (ancora) non c’è”.
Se da un lato l’arrivo del Covid-19 ha incrementato l’utilizzo della telemedicina e in questi mesi si è registrato un parziale recupero delle attività di screening e delle vaccinazioni dopo i mesi più bui dell’emergenza, su diversi fronti l’andamento continua a non essere positivo. D’altronde già a giugno l’Istat rilevava 2 milioni di prestazioni indifferibili in meno (-7%) erogate in Italia nel 2020 rispetto all’anno precedente, mentre la Corte dei Conti denunciava 1,3 milioni di ricoveri e 144,5 milioni di prestazioni in meno nel 2020 rispetto al 2019.
In questo scenario non roseo sorge una criticità nuova, che potrebbe complicare ulteriormente la situazione dei pazienti non Covid. Nonostante i ricoverati per coronavirus siano in aumento il tasso di occupazione dei letti nelle Regioni italiane sembra scendere: si tratta di dati frutto di una strategia adottata dalle Regioni per evitare o ritardare la retrocessione in zona gialla, aumentando il numero dei posti letto (soprattutto quelli delle terapie intensive). Questo cosa comporta concretamente?
I pazienti Covid (“verosimilmente ancora tutti legati alla variante Delta”) stanno crescendo e stanno impegnando i Pronto Soccorso sempre di più e siccome l’adeguamento dei posti letto dedicati ha naturalmente necessità di alcuni tempi tecnici per rendersi concreto ed effettivo, nei Pronto Soccorso gradualmente si stanno ‘accumulando’ i pazienti Covid”, spiega all’HuffPost il Dottor Fabio De Iaco, Presidente Nazionale SIMEU, Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza. “Perciò il boarding, l’attesa del ricovero, nei Pronto Soccorso non è soltanto quello tremendo dei pazienti non Covid, che sono tantissimi, “ma sta diventando un problema serio anche di quelli Covid”.
D’altronde, sottolinea il Dottor De Iaco, “laddove l’incremento dei posti letto Covid corrisponde a una riconversione dei posti letto già esistenti, è evidente che andiamo a levare posti letto per pazienti non Covid e questo incrementa ulteriormente il problema del boarding dei non Covid che nei Pronto Soccorso è particolarmente importante”. Insomma, se le condizioni di lavoro dei Pronto Soccorso italiani è il “primo elemento che va in sofferenza di fronte a una ripresa dei contagi e alla cosiddetta quarta ondata”, è certo che “già stiamo registrando questa sofferenza. Perché in molte parti del Paese vediamo molti pazienti Covid in attesa che vengano prodotti posti letto dedicati”, conclude il presidente SIMEU.
Insomma: è evidente che il problema Covid rischia di riverberarsi sull’intero sistema ospedaliero, complicando ancora una volta l’attività ordinaria. D’altronde, come segnalato dal report di Cittadinanzattiva, con la pandemia più di un paziente su due (52,4%) ritiene aumentati problemi, il 41,4% invariati e il 6,2% leggermente aggravati.
Oltre alle complicazioni nell’accesso alle prestazioni specialistiche e ai ricoveri, sono in aumento le difficoltà nell’attivazione dell’assistenza domiciliare integrata e nel riconoscimento dell’invalidità. E crescono le richieste dei cittadini affetti da una patologia cronica e rara insieme a quelle dei caregiver, che chiedono meno burocrazia e più tutele sul lavoro e, i più giovani, nel percorso di studi. Vediamo nel dettaglio cosa sta (ancora) succedendo dentro e fuori le corsie italiane secondo il rapporto.
Screening e prevenzione in ripresa, ma lunghe liste di attesa per diagnosi, ricoveri e visite
Dopo la forte battuta di arresto del periodo più buio dell’emergenza Covid, il report segnala minori segnalazioni di interruzione degli screening programmati (dal 38% del 2020 al 32% di quest’anno). Riprendono anche le vaccinazioni per i minori (scende dal 34% del 2020 all’attuale 16,5% la quota di chi lamenta ritardi o interruzioni) e quelle per adulti (dal 29,7% al 19%). Meno difficoltà anche per ottenere protesi, ausili e dispositivi medici (le segnalazioni calano dal 32,5% al 21%).
Va meno bene sul fronte diagnosi, ospedalizzazioni e visite. Il 40,5% (in crescita rispetto al 35,3% dello scorso anno) dei pazienti segnala che è più difficoltoso sottoporsi a una visita specialistica per via delle chiusure degli ambulatori o delle lunghe liste d’attesa. Lungaggini sono evidenziate anche per quanto riguarda prestazioni diagnostiche e ricoveri da parte di un paziente su quattro: il dato si attesta al 39,9% rispetto al 36,5% di un anno fa. Viene lamentata anche una minor attenzione al dolore collegato alla propria patologia: lo denuncia il 34,5% rispetto al 26,4% dello scorso anno.
1 paziente su 5 rinuncia a curarsi per motivi economici
I pazienti sostengono abitualmente di tasca propria i costi necessari alla gestione della propria patologia, ma non tutti ce la fanno. Il 45% circa è necessario all’acquisto di parafarmaci ed integratori non rimborsati, oltre il 40% serve per visite specialistiche in regime privato o intramoenia, il 36% per la prevenzione terziaria (diete, attività fisica, dispositivi), il 33% circa per effettuare esami diagnostici a pagamento. Un intervistato su due afferma che tali costi sono aumentati rispetto al periodo pre-Covid e, dato più allarmante, uno paziente su cinque è stato costretto a rinunciare ad alcune cure perché non poteva sostenerne il peso economico.
Solo per fare alcuni esempi: si arriva a spendere fino a 60 mila euro per l’adattamento della propria abitazione o per pagare la retta nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA), 25 mila euro per una badante e 7 mila euro per protesi e ausili non rimborsati dal Sistema Sanitario Nazionale.
Le difficoltà per i disabili, nell’assistenza domiciliare e protesica
Non finisce qui. Quasi un cittadino su due (48,8%) ha avuto difficoltà nell’ottenere il riconoscimento dell’invalidità e handicap, principalmente perché i medici della commissione sottovalutano la patologia non conoscendola, e per i tempi eccessivamente lunghi per la visita di accertamento. Il 62% degli interpellati afferma che le criticità sono aumentate proprio con il Covid.
Non va meglio sul fronte assistenza domiciliare integrata: più di uno su tre (34,3%) ha incontrato difficoltà e ben il 71% dichiara che la situazione è peggiorata rispetto al periodo pre-pandemia. In particolare mancano figure specializzate, si fa fatica ad attivare le prestazioni oppure queste vengono sospese da un momento all’altro.
Più di un paziente su cinque (22,7%), inoltre, segnala criticità nell’assistenza protesica e integrativa, con un incremento rispetto al passato nel 70,8% dei casi. Nel dettaglio: troppo lunghi i tempi di autorizzazione e rinnovo per avere presidi, protesi ed ausili, gli stessi non sono compresi nel nomenclatore tariffario o non sono adatti alle esigenze personali.
Il capitolo caregiver: un esercito di persone alla ricerca di più tutele
Secondo il report di Cittadinanzattiva, più di un paziente affetto da patologia cronica su due (53,2%) ha accanto una persona che si prende cura di lui: il cosiddetto caregiver. Nella stragrande maggioranza (98%) si tratta di componenti del nucleo famigliare, oltre il 28% dei caregiver intervistati assiste i propri congiunti per più di 20 ore a settimana. Il 30% lo fa da 5-10 anni, il 20% addirittura da oltre 20 anni.
Il 47,6% degli interpellati ha fra i 51 e i 65 anni, il 27% 36-50 anni, il 18,7% 66-80 anni, il 4,6% tra i 25-35 anni. Il 76,8% è donna. Dalle loro risposte emerge il desiderio di occuparsi meno di burocrazia e di essere a fianco della persona più da un punto di vista emotivo e avere maggiore spazio per sé stessi e alla propria vita sociale e privata. Inoltre, il 74% delle donne e il 59% degli uomini segnala di aver dovuto rinunciare o smettere di lavorare e studiare.
Unanime è la richiesta di maggiori tutele. Quasi l’80% dei caregiver vorrebbe che gli venissero riconosciute agevolazioni e permessi ulteriori rispetto alla legge 104 e ulteriori contributi, rispetto ai tre anni previsti. Il 43% gradirebbe avere la certificazione di competenze acquisite sul campo e spendibili sul mercato del lavoro (tipo ECM, attestati OSS, iscrizione ad albi o registri specifici). Uno su tre chiede di avere agevolazioni e linee guida uniformi fra gli Atenei per poter effettivamente proseguire gli studi universitari (il 4,6% degli intervistati da Cittadinanzattiva ha infatti tra i 25 e i 35 anni).
Fonte: HuffPost